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Diritti sPOSTati

Dopo l’ennesima condivisione serve un punto fermo da ricondividere all’occorrenza per cui riscrivo qui quanto già detto su Facebook, integrando anche qualcosa.

Non basta un post in legalese per proteggere la vostra privacy da Facebook, o per far valere copyright o quant’altro. PER ISCRIVERVI AVETE ACCETTATO CLAUSOLE CHE CEDONO L’USO DEI VOSTRI CONTENUTI A FACEBOOK. Come potete difendervi? Evitando di pubblicare i dati sensibili che non volete condividere col mondo intero. Per citare “qualcuno” evitate di farvi foto (o, almeno, di mettere su Internet) che non volete far vedere a vostra nonna. Non esiste amico fidato che non possa perdere il cellulare in strada, che non possa venire derubato, che non prenda virus che espongano il contenuto delle proprie memorie elettroniche a gente senza scrupoli, che al primo torto non si vendichi sputtanandovi sul web. Pensare che basti un post su un social a proteggere i propri contenuti è come fidarsi di un giubbotto antiproiettile fatto con la carta igienica bagnata, pensare a quanto sia opportuno pubblicare qualcosa PRIMA di farlo è l’unica cosa che protegga davvero

Se proprio volete negare diritti sulle vostre foto a Facebook avete due possibilità: cancellarvi del tutto dal social network richiedendo la rimozione di tutto quanto (cosa che comunque faranno con calma) oppure rendere le vostre foto poco appetibili con filigrane (quelle scritte che vengono sovraimpresse) abbastanza difficili da rimuovere senza tagliare malamente la foto. Questa è la soluzione che ho adottato per le mie foto. Un bollino che copre un intero angolo della foto che, tra l’altro dice pure come è stata rilasciata la foto (non che questo previene da un uso illecito, come già detto), uno che vuole prendersi la foto senza riconoscermene nemmeno la paternità dovrebbe tagliare la foto in modo pesante o editarla in modo che non mi verrebbe difficile dimostrare la proprietà dello scatto semplicemente esibendo il file raw (il file fotografico coi dati grezzi del sensore) completo.

Little Brother

Non c’era miglior titolo per inaugurare il nuovo gingillo tecnologico di un libro che fa della libertà in rete e del diritto alla privacy la propria bandiera. Doctorow rende disponibili i suo iscritti sotto licenza Creative Commons (di cui parlo meglio sotto) per cui chi vuole può scaricarsi il libro dal suo sito e leggerlo sul proprio computer o sui dispositivi portatili che possiede, chi invece non vuole rinunciare alla carta può prenderlo in libreria: X, il titolo italiano di Little Brother, è  edito da Newton Compton. Adesso, però, buttiamoci nel libro.

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Privacy… o no?

In questo periodo sono capitato spesso in mezzo a discussioni in cui si invocava spesso a sproposito il proprio “diritto” alla privacy. A me non sembra che stiamo tutti a spiarci l’un l’altro pronti a mettere in piazza i particolari imbarazzanti del nostro vicino, di certo c’è una maggior facilità a condividere anche involontariamente dati sensibili atti a identificare univocamente una persona (mamma mia, sembro un avvocato) ma ciò non significa che si stia violando la privacy di una persona (i dati realmente privati sono solo un sottoinsieme dei dati sensibili).

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