Archivi autore: Salvatore Capalbi

L’eclissi (e la notte) porta consiglio

Ieri sera ho avuto il mio solito problema con la Luna (comune a chi soffre di astigmatismo): non ne distinguo bene i contorni a occhio nudo né con gli occhiali perché è lontana, molto luminosa e molto piccola. Tutti questi problemi svanivano se la guardavo attraverso l’obiettivo (che ne riduce la luminosità, l’avvicina e la ingrandisce).

Stamattina ripensavo al fatto di non riuscire a usare il visore per le foto stereoscopiche del libro in foto (se vi piace la fotografia e/o siete appassionati dell’argomento Luna, compratelo. Davvero, anche se non capite il testo in inglese, vi consolate con le spettacolari foto fatte dalla NASA). Beh, smontando e analizzando il problema pezzo per pezzo (sempre sia lodato chi mi ha insegnato a fare problem solving seriamente) ho notato che i due problemi erano perfettamente speculari, ma avevano un punto in comune: l’accrocchio ottico che fa (o dovrebbe fare) il miracolo. Beh, per farla breve ho applicato ciò che funziona con la reflex al visore 3D e il Saturno V è balzato fuori dalla pagina del libro

Fotolibro Saal digital: una recensione

Era da un po’ che cercavo un modo di raccogliere i miei ritratti fotografici in un formato pratico e sicuro come un libro o similare, ne avevo fatto stampe, ma trovavo la cosa comunque dispersiva e di sicuro non amo poi impelagarmi con biadesivo e quant’altro serva a inserirle in un album, il fotolibro mi sembrava la soluzione più immediata, ma per costi e possibilità di composizione personalizzata la cosa veniva rimandata a tempo indefinito.

Mi imbatto in uno di quegli annunci “prova e recensisci” con un uomo di acquisto che definire allettante è eufemistico (40€ su un costo totale di circa 60€), venisse male non ci perderei tantissimo, ma se le recensioni già lette sono vere ache solo per metà potrebbe essere un affare, così mi candido per il test e quelli di Saal digital mi danno l’OK mandandomi il codice sconto da usare in 15 giorni. Devo sbrigarmi.

Scarico il programma utile alla composizione dei progetti e comincio. Esplorare le possibilità offerte, niente che non si sia già visto con altri service ma qui noto che l’utenza a cui ci si rivolge è anche quella professionale o semiprofessionale, lascio perdere stampe, biglietti e quant’altro e mi dedico ai fotolibri. Copertine rigide e flosce, imbottite e non rilegatura, brossura o spirali ad anelli; formati dal 10×15 a oltre il formato A4 e i tipi di carta hanno addirittura l’opzione “fine print” ovviamente i prezzi di tali opzioni sono anche importanti, ma se dovete confezionare un fotolibro per un matrimonio o cerimonia analoga, un portfolio per un progetto particolare, beh, vi sfido a resistere alla tentazione. Scelgo comunque un fotolibro “medio” e comincio a comporlo.

Colgo una carta con finitura opaca “artistica” (ma non troppo), setto lo sfondo nero e opto per uno stile minimalista, le foto bianco e nero sembrano emergere dallo sfondo senza soluzione di continuità coi neri delle immagini perfettamente in tinta col nero grafico della pagine (non tutti i neri sono uguali), il foglio di carta è doppio così le foto possono essere messe anche al centro dove c’è la legatura permettendo le foto grandi quasi quanto un A3: stupende. I dettagli e le sfumature più profonde e nascoste non si perdono. Disporre il testo è un filo laborioso e avrei preferito avere il rientro della prima riga dei paragrafi, ma pazienza.

Optando per la composizione totalmente manuale e imparando l’interfaccia da zero mi ci sono volute solo un paio di ore per impaginare il tutto, piccola nota negativa: la creazione di un pdf di anteprima con una fastidiosa filigrana centrale.

Ordine inviato e pagato, mi si danno una quindicina di giorni di attesa per la consegna (service tedesco), ma sorpresa delle sorprese mi viene consegnato in anticipo di una settimana sui tempi dichiarati. Non so se è pretattica ma ricevere un book di ritratti femminili il giorno di San Valentino direi che gli fa guadagnare mezza stella.

Credo che ordinerò qualcos’altro da loro (magari il prossimo progetto sul Carnevale)

OCOLOY – Buone intenzioni per il 2018

Ormai mancano pochissime ore alla fine dell’anno e scrivo questo post, a metà tra il memorandum e il classico “buoni propositi” di fine anno per parlarvi della mia idea fotografica per il 2018.

Ho sempre voluto mettere alla frusta le capacità fotografiche degli ultimi smartphone e l’arrivo dell’iPhone 7 Plus nel mio taschino mi ha convinto a rompere gli indugi. Tuttavia non voglio fare foto slegate e tirate via svogliatamente, per cui la cosa si sta trascinando da qualche mese senza una qualche struttura; qualche giorno fa sento parlare del progetto OCOLOY, ed ecco che tutto prende forma.

OCOLOY è l’acronimo di: One Camera, One Lens, One Year. Fotografare per un anno con la stessa macchina fotografica e la stessa lente (se a pellicola, anche un solo tipo di pellicola) allo scopo di imparare a guardarsi intorno e a sfruttare bene ogni caratteristica di un’attrezzatura così ridotta all’osso.

Non garantisco che riuscirò a produrre qualcosa ogni santo giorno del prossimo anno ma la costanza di dedicare una decina di minuti alla fotografia, mantenendo un diario a più livelli di quanto osservato e scattato, degli esperimenti e quant’altro: sia qui su questo blog (almeno settimanalmente), su un quaderno (spero quotidianamente) e su Flickr e Instagram mensilmente con la pubblicazione degli scatti migliori, Facebook farà da calcerone che raccoglierà tutta la parte documentale digitale e, se tutto andrà in porto, un fotolibro e una scatola di stampe a fine anno per me.

Ecco le regole che mi sono imposto:

  • Fotocamera: iPhone 7 Plus con app Fotocamera di iOS, le uniche migliorie saranno quelle apportate dagli aggiornamenti di Apple
  • Lente: la doppia lente che equipaggia lo smartphone funziona come uno zoom per cui conta come fosse una sola. Sono ammesse le modalità di scatto “ritratto”, “Fotoburst”, Live Foto e il formato quadrato.
  • Niente filtri, qualunque regolazione in postproduzione si fa o con programmi esterni come Lightroom o con le funzioni di modifica incluse in Apple Foto per iOS
  • Sono vietate tutte le altre app non incluse da Apple in bundle col telefono
  • Il progetto/esperimento è da ritenersi fallito o concluso se si sospende per più di una settimana consecutivamente
  • In un mese bisogna raggiungere una quota di foto meritevoli di stampa e/o pubblicazione online non inferiore alle 3 immagini, se non ci si riuscisse tentare di restare in media

Queste sono le intenzioni, adesso dobbiamo solo impegnarci e tenere duro per i prossimi 365 giorni.

Parliamo di podcast

Un argomento che non ho mai trattato in maniera specifica su questo blog è il fenomeno del podcasting, probabilmente perchè ne sono un semplice fruitore e non sono mai stato coinvolto attivamente alla realizzazione di qualche episodio, colmiamo questa lacuna.

Cos’è un podcast? Un podcast nasce come la naturale evoluzione del “programma” delle radio libere la cui trasmissione non viene fatta in diretta ma attraverso file registrati e inseriti su siti web che li indicizzano e li tengono in ordine, siti che tramite il protocollo RSS permettono agli utenti di “abbonarsi” in modo da ricevere gli aggiornamenti della pagina in modo automatico, in modo da conoscere se è stata rilasciata una nuova puntata, detti file audio venivano poi caricati su un lettore mp3 per essere ascoltati in giro, un po’ come si faceva con le cassette e i Walkman, se aveste visto Tredici, beh avremmo in quelle sette cassette lasciate dalla protagonista un podcast ante litteram (oltre che macabro). Dal podcasting sono derivati gli Youtuber, ma questa è un’altra (spesso triste) storia.

Allora, abbiamo il nostro bel sito web con tutte le puntate messe lì in buon ordine che aspettano solo di essere scaricate e ascoltate (oggi si possono anche ascoltare in streaming, ma vedrete che dei podcast preferiti vorrete avere le puntate salve sul vostro disco, da ascoltare alla bisogna senza scaricarle ogni santa volta), come gestire il tutto da utenti “normali”? Se siete utenti Apple avete iTunes e magari la app Podcast per iOS che vi risolve alla grande il problema di gestione dei vari “canali” e archivi, tutti i grandi network radiofonici sono iscritti al portale della Mela, dalle applicazioni potrete conoscere la pubblicazione di nuovo contenuto, il suo eventuale download, ascolto e successiva archiviazione su disco. Come detto sopra però il podcast non serve solo a recuperare la trasmissione radiofonica, il bello arriva dai podcaster puri, non c’è argomento che non venga trattato, analizzato e sviscerato davanti ad un microfono, provare per credere. Se non avete dispositivi Apple potete chiedere a Google, PlayStore incluso, basta inserire “podcast manager” nella casella di ricerca e il gioco è fatto, anzi potete (e dovete) farlo anche se non vi piacessero le soluzioni di Apple.

Parlando di Apple, nello specifico, iTunes ha un sacco di podcast raggiungibili dalla sua interfaccia ma può sempre capitare che uno scelga di non iscriversi ai servizi di indicizzazione di Apple, beh per fare in mod che iTunes gestisca questi podcast bisogna iscriverli tramite la voce nel menu File “iscriviti al podcast” in cui inserire il link del feed RSS, esattamente come si fa con i programmi non-Apple. Al momento non posso garantire che la cosa funzioni con la app per iOS che però dovrebbe prendere i dati dalla sincronizzazione via iCloud.

Un’ultima cosa prima di darvi una piccola lista dei miei podcast preferiti (assolutamente non esaustiva, anticipo).

Molti mi fanno la classica domanda che fa un po’ cascar le braccia: “Sì ma poi quando li ascolto?”. Beh la durata di un singolo episodio varia da una mezz’ora a un’ora, massimo due; i programmi ricodano dove eventualmente si interrompe l’ascolto per cui si può ascoltare la trasmissione a pezzi, lo si faceva quando si usavano gli iPod con la rotellona, che erano sostanzialmente un dispositivo in più da portarsi in giro che non ti faceva nemmeno sentire il cellulare, oggi avete le cuffiette dello smartphone nelle orecchie per periodi di tempo compatibili alla durata di un episodio, lo avete collegato all’impianto stereo dell’auto, magari siete pendolari con ore a disposizione per leggere un capitolo di un libro, fare un po’ di conversazione e/o ascoltare qualcosa dallo smartphone, cosa ascoltare è affar vostro, ma non dite che non avete tempo. più che altro è pigrizia di imparare a gestire qualcosa di nuovo. MA credetemi se vi dico che la “gestione” di una manciata di podcast da seguire è meno difficoltosa dell’uso “standard” di Facebook.

La lista.

Dovete combattere col vostro aggeggio tecnologico? Volete vincere? Volete soltanto solo stare aggiornati su quello che succede in ambito social, sicurezza informatica (alla portata dei non esperti), bufale che girano indisturbate per i pascoli di internet? Il Disinformatico fa al caso vostro.

Appassionati di fantascienza? senza tirarla troppo per le lunghe: Fantascientificast

Il podcast da cui è derivato il precedente, dedicato alla scienza reale, non fiction: Scientificast

Giochi da tavolo o di società che dir si voglia. Molti si stupiscono che “da grandi” si giochi ancora a giochi il cui scopo non sia perdere soldi in modo idiota, solo per condividere una serata con gli amici, tra chiacchiere e tiri di dadi: Il dado incantato

Un network italiano di podcast culturali: Querty

Non linko quelli dei network radiofonici che sono solo una sorta di radio on-demand, quelli che fanno capo a grosse organizzazioni come le decine di feed che fanno capo alla NASA Quelli potete trovarveli più facilmente usando i motori interni delle app o google

Nerd for Dummies

Siete geek o nerd? Se la risposta è sì, quello che dirò vi suonerà più che familiare, quasi scontato; al contrario, se non lo siete, beh di sicuro ne conoscete uno o più; questo qualcuno di voi conosce, perché glie l’avete detto sostanzialmente voi, di che colore sono e di che materiale sono fatte le vostre “mutande digitali”, cioè che tipo di dispositivi avete, come li proteggete, quanti dati compromissibili ci sono dentro e se ne avete delle copie.

Il bello è che nessuno vi obbliga a farli conoscere e soprattutto a fidarvi di qualcuno che potrebbe essere anche estraneo, ne veniamo a conoscenza perchè a voi non interessa amministrarli fino a quando arriva l’incidente: qualcosa si rompe, o dovete fare qualcosa di impegnativo e mai fatto, o vi fregano il dispositivo e bisogna impedire che quei dati finiscano nelle mani di sconosciuti.

E qui per me e i miei “colleghi” cominciano le grane: nessun supporto tecnico “serio” dà i dati sensibili a uno che è “amico” del titolare di quei dati, quindi bisogna istruirvi su chi chiamare e cosa chiedere, come usare i dati ricevuti e via discorrendo, dilatando i tempi di intervento anche del triplo di quanto realmente necessario. Sia chiaro: gli amici si aiutano volentieri, i conoscenti se c’è tempo, gli estranei se educazione impone. Personalmente, però, tengo conto della volontà di aiutarsi da solo di chi in quel momento chiede aiuto, ecco perchè tendo a spiegare abbondantemente quello che faccio e perchè lo faccio, anche se so che difficilmente il cervello del mio assistito sta “registrando” qualcosa, preso com’è dalla paranoia di non capire ancora cosa lo ha colpito.

Questo noi lo si vorrebbe fare una tantum, il nostro sogno è “farvi vedere come si fa” perchè possiate farlo da soli, la prossima volta; il più delle volte è pura utopia, oggi qualcuno comincia a capire, ma dobbiamo sempre aspettarci che chieda almeno un supporto “morale” dovesse ricapitargli un guaio

Così voi prendete sotto gamba un problema che noi sentiamo prioritario come ad esempio il corretto uso delle password, noi cerchiamo di spiegarvi il perchè si arrivi a farlo quasi in modo paranoico (meglio quella paranoia di quella derivante da un account bucato da malintenzionati che avranno accesso alle vostre foto fatte in discoteca, ai vostri pin e ai mueri di carta di credito fotografate fronte-retro), qualcuno ride del fatto che abbiamo centinaia di password personali da ricordare, loro fanno tutto con una e, diamine, potremmo anche ricordarcela noi per loro. poco importa che potrebbero fare come noi e usare un programma (protetto da password, unica da mandare a memoria) per segnarsi tutte le altre.

Noi parliamo cercando di essere i più chiari possibili, voi pensate ai cavoli vostri che non comprendano niente di informatico, per quello ci siamo noi. Risultato: vi faremo sempre lo stesso tipo di intervento anche se, alla decima volta, aveste imparato a far da soli, ci mettevate dieci minuti e non l’ora di fermo macchina necessaria a portare e riprendere il dispositivo all’amico-mago

Quando si vorrebbe consigliare dei siti o altro tipo di risorse ci scontriamo poi col “io non ne capisco”, beh nemmeno noi prima di imparare le prime cose necessarie quanto meno a “stare in piedi” da soli, cercate di capirlo (almeno questo), vogliamo semplificare le cose a voi e a noi, che magari la prossima volta non devo pensare anche alle parole da usare per farvi comprendere il pasticcio in cui state senza farvi andare in paranoia. Conosco divulgatori informatici simpatici, gente cresciuta a pane e Piero Angela, che magari vi danno una mano anche per le bufale su internet (adesso basat o a Paolo fischieranno le orecchie), ma oh, voi siete di coccio!

Altro sipiarietto nelle serate in pizzeria o simili.. Vuoi o no, ma c’è sempre qualcuno che chiede lumi su qualcosa, anche su cosa acquistare (come se noi mandassimo a memoria tutti i volantoni degli store di elettrodomestici e paccottiglia elettronica), ovvio che noi si parta con le nostre valutazioni, che spieghiamo le ragioni perchè per noi X è meglio di Y, ma sostanzialmente, se proprio volete Z, potete prenderlo e al llimite valutate Q come valida alternativa. Se non ci state dietro allora forse un telefonino a conchiglia potrebbe essere la soluzione migliore, non perchè non capiate o non vi serve uno smartphone, ma perchè così non dobbiamo impararne un altro che puntualmente ci metterete sotto il naso alla prima difficoltà.

Ai “tempi nostri” ci dicevano RTFM, acronimo più utile e che ha più senso dei vostri TADB e similari perchè ci costringeva a usare il cervello anche quando il “Fucking Maual” era in un inglese mai letto prima

Introspezioni televisive

Da tanto non ne scrivevo su questo blog, di serie tv vecchie e nuove ne ho viste tante e i commenti ad esse si sono persi nei vari social e in qualche mailing list, poche idee rimanevano inespresse o da approfondire qui sopra, nel frattempo è arrivata Netflix col suo carico di ore di serie da guardare, bulimicamente: le nuove serie Marvel coi loro alti e bassi, alcune vecchie glorie come le prime stagioni di Friends, qualche episodio “evergreen” Star Trek o i nuovi fenomeni tipo Black Mirror, Stranger Things (che, se ce la facessi, pubblicherei questo esattamente il giorno prima dell’uscita della seconda stagione) e Tredici.
Proprio Tredici è una delle due serie di cui voglio parlarvi a questo giro, ma dato il tenore dell’argomento lo lasciamo per ultimo, prima qualcosa di più leggero come il nuovo “viaggio tra le stelle” prodotto in coppia da CBS e Netflix

Spazio, ultima frontiera… No stavolta l’ultima frontiera porta male, c’è la guerra ad attendere i nostri, niente viaggio di esplorazione là fuori, dobbiamo a conoscere chi quelle navi le popola, le fa muovere e le porta anche in battaglia. Non è la prima volta che in Star Trek viene mostrata la guerra ma è la prima volta che in guerra non ci sono eroi senza macchia a combatterla. Star Trek: Discovery non mira a scoprire nuovi mondi e nuove civiltà (che pure vengono presentati), ma mira a scoprire qualcosa su cosa possiamo diventare quando le circostanze volgono al peggio come una guerra scatenata da e contro una delle razze più belligeranti e pericolose della galassia conosciuta. E mentre i fan più oltranzisti spaccano il capello in quattro per capire cosa sia rimasto dello star Trek che loro conoscevano e amavano, noialtri guardiamo una serie che ci porta fuori dal giardino protetto dell’etica della Federazione, seguendo un capitano che sa che non può vincere se rispetta le regole perché ha un’unica freccia al proprio arco (la sua nave speciale) e non vuole perdere questo vantaggio.

Star Trek è morto? No, credo sia in stand-by, attende che i tempi tornino propizi, che si possa andare nei territori poco esplorati della galassia in cerca di civiltà che ci ricordino chi siamo e da dove veniamo, adesso dobbiamo vincere una guerra contro Klingon mai visti, sconosciuti a chi li combatte, come agli spettatori che li incontrano trasformati per la terza volta da chi ha lo scettro del comando e tanti soldi per effetti speciali e scenografie. Discovery è una gioia per gli occhi, girata in formato cinematografico, con un ponte di comando che in TV sta finalmente in un’unica inquadratura con il capitano Lorca in piedi in mezzo alla plancia (la poltrona c’è ma non la usa tantissimo) come un nuovo Achab che cerca la sua Balena Bianca Klingon (coincidenza: uno dei “cattivi” è albino). Dovrei parlare della protagonista ma non lo farò anche perché si sa ancora poco di lei, per fortuna Discovery, come le serie che l’hanno preceduta è molto corale e per quanto ci si focalizzi su un personaggio in particolare (che è stata causa prima del conflitto) a suscitare il mio interesse sono stati perlopiù gli altri componenti dell’equipaggio, ci torneremo a primavera, quando la prima stagione sarà finita e staremo aspettando la seconda che vedremo nel 2019 (o giù di lì)

Tredici… chiamiamola col titolo originale, almeno per questa volta, perchè chi non la conosce non pensi al Totocalcio. Thirteen reason why… è la trasposizione TV di un romanzo per ex-adolescenti (trovatemi voi una definizione italiana per Young Adults) 🙂 (ok la faccina la lascio, qui si può ancora scherzare, dopo no); un romanzo, dicevo, di quelli che prima ti fa sorridere con il revival delle musicassette registrate e mezzo secondo dopo ti tira un diretto alla bocca dello stomaco che tu, imbambolato alla vista di un Sony Walkman, non ti aspetti arrivare. Ti rialzi, riprendi a respirare e ricacci giù il contenuto dello stomaco che quasi quasi aveva deciso per una gita fuori porta e riaccendi il cervello, scoprendo da dove arrivava il cazzotto che ti ha spedito al tappeto: una voce, una ragazza che parla e che dice la più classica: “Se mi stai ascoltando vuol dire che sono morta” e aggiunge: “Se mi stai ascoltando vuol dire che [anche] tu mi hai uccisa”, e si scopre che ad averla uccisa sono “almeno” in dodici.

Ad aver ucciso Hannah è stata la depressione adolescenziale, il bullismo e… altro (non sia mai che vi dica tutto, Virgilio con Dante non l’ha fatto: l’inferno va visto di persona). Chi scrive ha conosciuto il bullismo dalla parte sbagliata, e quest’anno, causa un’incomprensione con una persona anche la grande D mi ha fatto visita, per questo la serie l’ho vista tardi, e ho fatto bene, soprattutto nei primi episodi richiami al mio vissuto, ricordi di attimi tutt’altro che felici mi facevano parteggiare per un personaggio o per un altro. Non sempre per la vittima “titolare” ma anche per la seconda voce narrante, giocoliere maldestro in una vicenda più grande di lui, ogni volta che qualcuno (me compreso) vedeva una possibile scappatoia al tragico destino di Hannah dovevo ricordarmi che ovviamente non avrebbero scelto quella strada perché “lei alla fine muore”, fanno pensare anche i piccoli soprusi, quelli che si fanno innocentemente, pensando di non fare nulla di male c’è sempre qualcuno che si finisce per ferire, dandomi un paio di nomi cui probabilmente dovrò chiedere scusa (e credetemi, preferisco restare dalla stessa parte del bullismo di quando avevo 12 anni piuttosto che da quella di chi ferisce). Ho finito il tredicesimo episodio che di cazzotti ne ho incassati diversi altri, ma è stato utile vedere le cose da un’angolazione di tre quarti; il prossimo anno ci sarà una seconda stagione che supererà le vicende del libro sarà anche un secondo round?

Quel che si lascia

A dispetto del periodo non proprio felice appena trascorso devo dire che fotograficamente è stato un periodo interessante, seppur con qualche occasione mancata a causa della dipartita della batteria della reflex e di impegni poco compatibili con alcune persone che non hanno potuto posare per me.

Qualche foto BELLA l’ho fatta, qualche foto che mi facesse riprendere fiducia nel mezzo e nel mio modo di fare e di essere, che non sono io a essere sbagliato ma che ho solo fatto il proverbiale passo più lungo della gamba, fidandomi malamente di qualcuno che non meritava tanta fiducia. LA cosa che mi è davvero piaciuta è portare a casa qualcosa anche quando si usciva più per noia che per reale convinzione di andare a scattare qualcosa.

Ieri poi è successo quello che speravo. Liberata una stanza da imbiancare è rispuntata fuori la mia prima reflex, unica a pellicola, che seguì la Polaroid come mia macchina fotografica “ufficiale” (ce ne sono state altre, per lo più per sostituire momentaneamente queste due, che però non sono mai state MIE, erano piuttosto “a nolo” dai miei).

La reflex, la prima macchina fotografica “seria”, una Olympus OM10 completa di Manual Adapter (un modulo che “spegneva” gli automatismi ritornando ad essere una quasi OM2), con la quale ho cominciato davero a far danni, che la Polaroid aveva il fiato corto con le sue 10 pose a cartuccia, i primi accessori, i primi consigli da parte degli esperti  che incrociavi in giro e le trasferte “vietate” per lei, che era mia ma l’avevano pagata i miei e non volevano che la rischiassi in giro (adesso la prima cosa che “metto in valigia” è la Nikon), la mia prima modella che non nomino perché non c’è bisogno di nominarla: io, lei e i nostri amici sappiamo chi sia!

Le prime edizioni del Carnevale Stiglianese coperte partendo coi carri dal campo sportivo, andando giù alle tre del pomeriggio anche se sapevo che i carri sarebbero arrivati almeno due ore dopo, perchè intanto che aspettavo c’era sempre qualcuno o qualcosa da fotoografare. Oggi fotografare le maschere non mi piace più come allora, forse perché non riesco più ad associarci il vero volto e le persone dietro di esse. Le riunioni di famiglia di cui ero il fotografo ufficiale ma tutti si sentivano in dovere di dirmi cosa fare; adesso faccio sempre io le foto ma, se non fosse la decina di centimetri messi su da allora, sono i controlli della reflex digitale a spaventarli

Tanta strada fatta in trent’anni e quest’anno stavo per rimettere tutto in discussione per colpa di un fraintendimento idiota

Filtri che non servono

Colpa di Intagram. Le fotocamere dei cellulari di allora facevano mediamente pena e per pararne i difetti c’erano questi settaggi istantanei che aggiustavano il tiro e davano un tocco vintage/analogico a foto altrimenti bruttarelle dal punto di vista tecnico.

Oggi però su instagram postiamo con fotocamere che ti fanno contare i capelli in testa o i peli sfuggiti all’estetista (sì lo so, sono bastardo, quando mi ci metto 😀 ), colori che nemmeno notiamo ad occhio nudo e luminosità che gareggiano con gli occhi di un gatto; per cui la quasi totalità dei filtri sono inutili.

I-NU-TI-LI

Anzi sono proprio dannosi, ma così dannosi che spesso sono tentato di cambiare licenza Creative Commons pewr le mie foto e vietare opere derivate da esse, negando il consenso a usare filtri su di esse (magari si potesse proprio impedirlo!).

Chiariamoci, quando pubblico una foto, questa viene prima rifinita nei toni e nella luminosità DA ME, e solo quando ne sono soddisfatto viene compressa in Jpeg e data in pasto al pubblico. Un filtro è ridondante, pleonastico, superfluo… continuate voi che non mi vengono più sinonimi.

Mi è capitato di vedere foto fatte con una reflex con colori bilanciatissimi, vesti coloratissimi su corpi ambrati da un’abbronzatura agostina… venira appiattiti da un filtro solarizzante che manda tutto a pallino.

Avete presente la Bellucci? Ecco un filtro messo male è come la recitazione della Bellucci: non serve! (però come dice “Brillocco” lei…)

C’è una sola categoria che salvo: quelli per il bianco e nero e quelli artistici alla Prisma, ma solo se usati con parsimonia

Fotoritratti

Mi hanno fatto LA domanda. Più precisamente una ragazza che non ama farsi fotografare e che io pendo un po’ in giro fingendo di scattarle foto mi ha chiesto: “Ma perchè proprio alle persone le devi fare? Non sono più belli i paesaggi e le case?” Mia risposta: “Dopo un po’ mi scocciano, anche perchè le case interessanti del paese le ho fatte tutte.” Il problema, comunque, era il suo che non ama i suoi ritratti e non il mio che cerco il contatto emotivo con un’altra persona. Perchè sostanzialmente di questo si tratta: due individui che entrano in contatto mediati dalla macchina fotografica, la rilettura di una persona attraverso i miei occhi e la mia sensibilità, ciò che io percepisco di lei che non corrisponde necessariamente al suo modo di vedersi. È proprio allora, anzi, che avviene il miracolo, che seppur nel mio piccolo faccio arte.

Sono timido, anche abbastanza introverso e non mi apro facilmente al resto del mondo, la fotografia è la scusa che mi costringe a interagire con un’altra persona, che mi fa piovere addosso complimenti e critiche con cui fare i conti, stupire qualcuno con un suo ritratto alimenta un ego che di solito se ne sa rintanato all’ombra incerto se il mondo ce l’abbia con lui o se neanche ci si accorge che esiste. Dopo quest’anno, poi, ogni ritratto riuscito è stato un vero toccasana per il morale e per fortuna ce ne sono stati, prima che la dipartita della batteria della macchina fotografica mi costringesse a uno stop forzato a Ferragosto. rivedere una conoscente, portatrice di una delle più belle paia di occhi che ricordi e che dieci anni fa avrei voluto fotografare ma non ho mai avuto il coraggio di proporglielo, certo com’ero di un rifiuto. Beh, quest’anno due foto al volo le ho fatte e sono anche venute bene. Magari la prossima volta riesco a convincerla a migliorare il risultato. 🙂

La cosa non è mai facile e bisogna parlare chiaro e giocare pulito, spesso (quasi sempre) la foto si ruba per poi farla vedere a chi si vuole coinvolgere (ovviamente non si fa con le perfette sconosciute) e quindi chiedo il permesso di pubblicarla. Quest’anno è capitato che qualcuna non capisse che se chiedo qualcosa voglio una risposta precisa a cui attenermi e non un “Sì per non dire No”, questo perchè si cerca la spontaneità e bisogna poi convincere chi non si sente portata per posare, conquistarne la fiducia per farla mettere in gioco, da amatoriale non faccio le cose in modo serioso, chiedo a gente che conosco abbastanza da potermici rapportare in modo cordiale e amichevole, con cui si riesce a scherzare in modo da non far pesare loro la presenza dell’obiettivo

Ultimo paragrafo dedicato all’immancabile stupidario. Ci metterei anche l’episodio raccontato all’inizio ma lì la cosa è dettata dall’eccessiva oggezione per la macchina fotografica, peggio dicono i soliti che pensano che lo faccia per avvicinare ragazze che voglio “farmi”, come nel miglior luogo comune, gente che mi chiede se proporrò un nudo alla tal modella (mi si sta candidando ad asssistente? Peccato che, nel caso, molto probabilmente lei avrebbe unA assistente per trucco e parrucco e il o la mia assistente starebbe un passo dietro di me). Fatico a levarmi da torno gente che ci scherza su “troppo”, nel senso che va bene una battuta ogni tanto, ma incedere sulle solite battute sessiste e maschiliste quando magari ci stanno anche alcune candidate presenti non credo giovi alla causa. Ultimo caso: di fronte a uno dei miei ultimi bianco e nero, uno se n’è uscito con “Anch’io ho fatto una foto a TIZIA, solo che l’ho fatta senza filtri”. Non ho potuto che rispondere un diplomatico “Anch’io!” Indicando la foto.

Prima o poi farò anche il post sui filtri, anche se temo che saranno caratteri sprecati, proprio come il 99% dei filtri usati su Instagram.

Ostilità verso la netiquette

Ho cominciato a usare strumenti telematici tardi. Tardi se consideriamo quelli della mia generazione che magari erano già avvezzi alla comunicazione via modem già da un decennio, quando io ho cominciato. Mi furono spiegate le “regole del vivere civile” di quel mondo, ho imparato ad apprezzarle quando mi sono trovato a moderare gruppi, capendo i motivi perchè fossero necessarie e, soprattutto perché funzionavano. Oggi, con la massificazione di Internet quelle regole sono ancora attuali, utili, da conoscere ed applicare, sono frutto del buon senso applicato alla telematica. EPPURE SE MI TROVO A SPIEGARE GENTILMENTE A QUALCUNO, ANCHE IN PRIVATO, DOVE HA SBAGLIATO NEL DIRE O FARE QUALCOSA, IN PRIVATO E LONTANO DAL CLAMORE, PASSO SOLO PER CAGACAZZI. Parliamo di gente che magari quando io vedevo per la prima volta internet, giocava col Sapientino o si perdeva nelle istruzioni del videoregistratore (tecnologia avanzatissima già con 15-20 anni sul groppone, mica parlo dei primi VHS). Beh, a molti di questi, ovviamente se stessimo in confidenza, risolveremmo col solito, bonario, vaffa :-), farò presente che NON ESSENDO CAZZI MIEI COME USA FACEBOOK E SIMILI, DEI SUOI DISPOSITIVI CHE NON FUNZIONANO MI FREGA ANCOR MENO. Se non siete d’accordo potete anche togliermi l’amicizia.